Questione di “TIMING”

La domanda è la seguente: come passiamo il nostro tempo in palestra? Siamo sicuri di sfruttare al meglio quel paio d’ore che investiamo allo scopo di raggiungere la migliore forma fisica?
E’ pur vero che i centri per il fitness devono essere anche “socializzanti”, oltre che “performanti”, passatemi questi termini, ma per fare un’analisi dividerei gli avventori delle palestre in due grandi classi: gli assidui frequentatori che interpretano l’esercizio fisico con rigore e metodo, e quelli che preferiscono invece un approccio più leggero dal punto di vista mentale e applicativo. Questione di obiettivi, ma anche di diverso carattere, di possibilità di gestire il proprio tempo libero, o altre motivazioni ancora.

In verità si potrebbero identificare numerosissime sottoclassi, tanto variegato è il pubblico delle palestre, ma teniamo buona questa macrodivisione in due sole popolazioni. Dunque i socializzanti sarebbero quelli che si sono iscritti in palestra per migliorare la propria immagine, obiettivo per il quale si impegnano anche con frequenza giornaliera, ma concedendo spazio ai rapporti interpersonali, non disdegnando di intrattenersi in conversazioni con amici, che spesso causano un “overtime” sulla tabella di marcia. Qui c’è un giusto equilibrio tra obiettivi personali e condivisione con il prossimo.

Personalmente, devo ammetterlo, mi sono sempre identificato con l’altra categoria, forse anche per problemi di tempo. In special modo negli ultimi 12 mesi in quanto il mio workout si svolge quasi sempre al mattino presto. In  questo caso si cerca di sfruttare al massimo il proprio allenamento, magari utilizzando un cronometro per la gestione dei tempi di recupero. Così facendo si evita di eccedere nella durata totale del training rispetto alla disponibilità di tempo, e si effettuano le pause misurando in modo preciso i tempi di recupero tra le serie. Questo approccio dovrebbe portare certamente diritti all’ottenimento dei risultati sperati. Giusto? Non proprio.
O meglio, non basta. Allenarsi sotto la tutela di un cronometro o meno, cambia poco se sbagliamo in quello che io chiamo il “timing”, cioè l’organizzazione della tempistica delle fasi di recupero.
Lo stereotipo dell’atleta più attento ai tempi di recupero tra le serie è rappresentato solitamente dal body builder convinto; uno che si allena da almeno un paio d’anni, frequenta la palestra minimo 3 giorni a settimana, conosce discretamente l’argomento alimentazione e parzialmente quello della supplementazione (o chiamatela integrazione, se volete); in molti casi cura il proprio aspetto esteriore con lampada abbronzante e periodica depilazione soprattutto di petto e braccia. Il suo principale obiettivo E’ LA CRESCITA MUSCOLARE. Proprio per questo motivo il suo allenamento dovrebbe essere finalizzato a promuovere il rilascio degli ormoni anabolici (come il testosterone). In passato vari studi hanno mostrato che allenarsi con un carico che si riesce a sollevare per 10 ripetizioni con pause tra le serie non superiori ai 60 secondi, provoca il massimo aumento dei livelli di testosterone e ormone della crescita; si è visto poi che se il carico viene aumentato, per arrivare ad eseguire massimo 5 ripetizioni, con pause di almeno 3 minuti, non si registra alcuna variazione nei livelli degli ormoni anabolici. Tanto per dire che fare 1 minuto o 3 minuti di pausa non è proprio la stessa cosa. Se recuperiamo tra i 60 ed i 90 secondi, stimoliamo maggiormente il rilascio ormonale. I recuperi che arrivano e superano i 3 minuti, tipici del lavoro per la forza, permettono un più ampio ripristino dell’ATP, ma riducono il rilascio degli ormoni anabolici.
Noto che, molto spesso, gli sportivi di cui si parlava prima, incorrono nell’errore di “timing” lasciando trascorrere 120 o più secondi tra le serie, rendendo così più efficace la pausa in termini di rifornimento della benzina muscolare, ma vanificando gli effetti ricercati per l’ipertrofia, cioè la crescita.
I vari aspetti collegati a quanto sopra citato sono ancora in via di approfondimento, ma gli studiosi hanno intanto stabilito che l’accumulo di sostanze di rifiuto nei muscoli genera una situazione di stress metabolico che provoca l’invio del segnale di rilascio degli ormoni anabolici. Queste sostanze, come il lattato e gli ioni idrogeno, sono responsabili del ben noto bruciore sperimentato durante le serie più intense.
ImageSegnalo due lavori, uno meno recente e l’altro del 2009 (1) (2) . Nel primo si è esaminata l’incidenza  dello stress metabolico succitato sui guadagni di forza e massa, mentre in quello più recente sono stati valutati i livelli di testosterone, cortisolo e globulina legante gli ormoni sessuali, in seguito a diversi tipi di allenamento.
In entrambi si sottolinea il ruolo primario dell’acido lattico come responsabile del rilascio degli ormoni anabolici, e il fatto che il classico metodo delle 8-10 ripetizioni, con pausa relativamente breve, crea una situazione fisiologica che ottimizza il reclutamento delle unità motorie finalizzato all’ipertrofia muscolare.Dunque, se l’obiettivo è la crescita, l’acido lattico va tenuto sotto controllo, ma non nel senso di evitarlo, bensì nel cercare in ogni serie l’intensità adeguata a produrlo. Le lunghe pause di recupero non vanno in questo senso.
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Riferimenti: 

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