Carichi bassi per grande crescita?

Chi di noi è più attento alle ultime novità sui diversi protocolli di allenamento, si sarà accorto che quelle che vengono fatte passare per nuove formule di training, sono spesso rimaneggiamenti di cose già esistenti. Un programma di allenamento dovrebbe essere costruito possibilmente considerando quali sono gli obiettivi da raggiungere, e applicando quanto ci insegna la fisiologia in merito alla strada da seguire per arrivare a questi obiettivi. Il lavoro allegato in fondo all’articolo, sembra rappresentare, una volta tanto, una vera novità, di cui forse in futuro dovremmo tenere conto nel progettare un training. Per chi arriverà a leggere questo articolo fino alla fine, il premio sarà di avere qualche dubbio in merito al dogma “carico pesante = maggiore crescita”, o, in altre parole, avrà acquisito delle informazioni che gli apriranno nuovi orizzonti per i futuri allenamenti.

Ad esempio, a chi si allena con i pesi è noto il fatto che per ottenere dal proprio allenamento effetti di crescita muscolare, si dovrebbe effettuare un numero basso di ripetizioni, utilizzando un carico pesante. Per contro, viene ritenuto che il training composto da alte ripetizioni con carichi più bassi, sia finalizzato a quello che chiamiamo tono muscolare, ma non abbia sostanziali  effetti in termini di guadagno nelle dimensioni e nella forza del muscolo. Dal punto di vista fisiologico, queste considerazioni sono ascrivibili al principio del “reclutamento gerarchico delle unità motorie”, secondo cui il nostro corpo attiva le fibre necessarie ad effettuare un movimento, iniziando dalle fibre a scossa lenta, cioè quelle di tipo 1. Queste sono le fibre tipicamente utilizzate per le attività di tipo prolungato, e vengono perciò anche denominate fibre della fatica.
Le fibre di tipo 2a e 2b, dette a scossa rapida, vengono anch’esse coinvolte nel movimento, e sono attivate dalle connessioni neuromuscolari in funzione del tipo di stimolo richiesto. In pratica, quando la resistenza che si oppone al movimento di un dato muscolo,  supera un certo livello, viene inviato un segnale al cervelletto che ordina il reclutamento delle fibre di tipo 2. Per molto tempo si è ritenuto che il reclutamento di queste fibre fosse associato a stimoli molto grandi, perciò si consigliava di elevare l’intensità dell’esercizio, applicando un maggiore carico. Anche molti testi di fisiologia sportiva descrivono le fibre muscolari a scossa rapida di tipo 2 come quelle che più favoriscono la crescita muscolare, mentre quelle cosiddette lente, di tipo 1, sono piu’ portate al lavoro di resistenza e la loro attivazione sarebbe tipica dell’esercizio a bassa intensità ed elevato numero di ripetizioni.  In aggiunta, le fibre di tipo 2 vengono attivate solo in caso di necessità, ma il loro coinvolgimento nel lavoro muscolare può verificarsi anche in caso di affaticamento delle fibre di tipo 1.
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I Bodybuilders hanno delle importanti masse muscolari come conseguenza di un tipo di  allenamento principalmente composto da lavoro con carichi molto pesanti. La scoperta di questi ultimi anni riguarda la composizione delle fibre muscolari di campioni di bodybuilding: si e’ visto, grazie alle biopsie muscolari, che sono composte dalla maggioranza di fibre di tipo 2a. Le 2a sono considerate delle fibre intermedie, avendo  caratteristiche di entrambi le fibre, quelle di tipo 1 e 2. Chiariamo il concetto: le fibre dei culturisti di professione, atleti dotati di muscolatura enorme, sono composte da un insieme di due tipi di fibre diverse, quelle a scossa rapida, tipicamente ritenute come le fibre della crescita muscolare, ma anche da quelle di tipo 1, cosiddette lente, associate più alla figura del maratoneta che a quella del bodybuilder. Altro concetto: i sollevatori di peso olimpionici sono probabilmente tra gli atleti più forti nel panorama sportivo, ed i loro allenamenti si sviluppano spesso su lavoro con carichi molto pesanti e serie con poche ripetizioni. Conseguentemente al loro tipo di allenamento e ai livelli di forza dimostrati, ci si aspetterebbe una maggiore evidenza in termini di volume muscolare, mentre così non è. Questa è già una dimostrazione del fatto che nella scelta del carico e del numero di ripetizioni da eseguire in un training per la crescita muscolare, è necessario individuare un carico che permetta di effettuare un numero di ripetizioni probabilmente non inferiore alle 8-9 ripetizioni.
Vari studi hanno dimostrato l’efficacia ai fini della crescita muscolare, dell’allenamento con occlusione vascolare, cioè con impedimento del flusso sanguigno, anche con un utilizzo di carichi leggeri. Ci sono diverse teorie che spiegano questo fenomeno, ma il motivo principale  di questo stimolo alla crescita muscolare sembra risiedere nell’aumento dei prodotti generati localmente dal muscolo, come conseguenza del flusso sanguigno interdetto. Questo viene interpretato dal cervello come incremento della fatica e viene inviato un segnale per chiamare al reclutamento le fibre di tipo 2, che sono poi quelle che danno evidenti guadagni di crescita in seguito all’esercizio. Si è visto che, anche utilizzando carichi corrispondenti al 20% di 1 ripetizione massimale (20 % di 1RM, quindi parliamo di pesi molto leggeri), alcuni soggetti studiati hanno fatto registrare guadagni nelle dimensioni del muscolo comparabili a quelli ottenuti con carichi maggiori, quando gli veniva imposto un metodo di allenamento che prevedesse ripetizioni molto lente e una contrazione forzata del muscolo allenato, tra una ripetizione e l’altra. Anche in questo caso, ciò che fa la differenza è sempre il livello di affaticamento locale indotto nel muscolo allenato, che non solo attiva pienamente le fibre di tipo 2, ma promuove anche un grande rilascio di ormoni anabolici, come l’ormone della crescita e l’IGF-1, che sono stimolati dai prodotti dell’affaticamento muscolare, come l’aumento dell’acido lattico nello stesso muscolo.
In uno studio molto recente 15 soggetti, tra i 21 e i 22 anni, con 6 mesi di esperienza di allenamento hanno effettuato 4 serie di Leg Extension utilizzando differenti carichi e volumi di lavoro, secondo questi tre protocolli:1) 90% di 1 RM eseguendo ripetizioni fino all’esaurimento;
2) 30% di 1 RM con il metodo “work-matched” (vedi appendice in basso);
3) 30% di 1 RM eseguendo ripetizioni fino all’esaurimento;
I ricercatori hanno eseguito dopo 4 ore e nelle 24 ore successive all’esercizio delle misurazioni del grado di Imagesintesi proteica muscolare nel muscolo allenato, valutando la sintesi delle proteine contrattili, del tessuto connettivo e la  sintesi delle proteine strutturali del muscolo. L’aumento della sintesi proteica è direttamente correlato all’incremento nei guadagni in termini di dimensioni e forza del muscolo, particolarmente per quanto riguarda le proteine contrattili.
Dai risultati dello studio si riscontra che il protocollo con peso più leggero e serie ad esaurimento (cioè il terzo) ha dato risultati migliori in termini di incremento della sintesi proteica di quello con peso maggiore. Questo tipo di allenamento ha prodotto un livello di sintesi proteica simile a quello ottenuto con carico pesante 4 ore dopo l’esercizio, ma tale livello si è mantenuto nelle 24 ore dopo il termine dell’esercizio solo nel gruppo che si è allenato con carico più leggero e serie ad esaurimento. Gli autori dello studio suggeriscono l’ipotesi che il maggior volume di lavoro (più ripetizioni) previsto per gli atleti che hanno lavorato con carico leggero e serie ad esaurimento, abbia comportato un aumento della fatica muscolare, influenzando in modo positivo i vari processi di sintesi proteica. Solamente il gruppo che ha svolto il training ad esaurimento   con minor carico ha fatto registrare aumento della sintesi proteica sia nelle proteine contrattili, nel tessuto connettivo e a livello mitocondriale. Si può dedurne che il tipo di allenamento seguito dal terzo gruppo genera degli incrementi nelle dimensioni, nella forza e nella resistenza del muscolo contemporaneamente.
Il maggior numero di ripetizioni eseguite dal terzo gruppo ha fatto registrare una maggior attività di parecchi fattori di segnalazione di sintesi delle proteine muscolari. Questo gruppo ha anche mostrato i più alti indicatori dei fattori di segnalazione per lo stimolo dell’attività di cellule satellite, molto importanti per promuovere guadagni nelle dimensioni e nella forza del muscolo.I risultati di questo studio confermano precedenti scoperte che dimostrarono la possibilità di ottenere un significativo incremento nelle fibre in seguito all’allenamento con contrazioni isometriche volontarie protratto per 16 settimane, e con intensità pari al 30% di 1 RM (Alway et al.). Anche se il tipo di contrazioni utilizzate in questo studio era diverso da quelle dello studio di Alway e colleghi (nell’uno si trattava di esercizio dinamico, mentre nell’altro di lavoro isometrico), i dati di questo più recente lavoro forniscono ulteriore supporto alla teoria che le contrazioni con basso carico e alte ripetizioni producono risultati di allenamento simili alle contrazioni con alto carico e basse ripetizioni, inducendo guadagni in termini di ipertrofia muscolare. Questa ipotesi è ulteriormente supportata dai dati che dimostrano che i cambiamenti a breve termine nella sintesi di proteine muscolari sono predittivi dei guadagni di massa muscolare indotti dall’allenamento. Tuttavia, si auspicano ulteriori futuri studi che possano confermare questi effetti indotti dall’allenamento con diverse intensità’ in termini di carico e volume.ImagePer adesso prendiamo buono un messaggio importante che scaturisce da questo studio: tutti noi, specialmente noi che ci alleniamo, abbiamo sempre pensato che non si ottengono guadagni nella forza e nelle dimensioni dei nostri muscoli, se non lavorando con carichi submassimali, cioè molto vicini ai nostri limiti di sollevamento. Chi si allena conosce bene la sensazione che si prova lavorando sul filo delle proprie possibilità; al termine di un allenamento ci si sente soddisfatti e non si vede l’ora di rimettersi in gioco nello stesso esercizio, per provare a superare i livelli raggiunti. D’altra parte, bisogna considerare  che questa “gara” con noi stessi e le nostre possibilità, comporta spesso e volentieri dei rischi rappresentati da infortuni di varia natura (dolori muscolari, tendiniti, problemi articolari). Ben venga, quindi, il fatto di sapere che se talvolta utilizziamo carichi al 30-40% di 1 RM piuttosto che all’80%, non stiamo perdendo del tempo.
A questo proposito, serve sottolineare quanto suggeriscono gli autori dello studio in merito ai risultati ottenuti, considerando la possibilità di prescrivere formule di allenamento con carichi leggeri a soggetti infortunati o troppo anziani per sollevare dei carichi pesanti. Per questi soggetti, un allenamento con carichi leggeri, ma portando le serie ad esaurimento, può rappresentare una valida soluzione per uno stimolo alla sintesi proteica muscolare, altrimenti difficilmente raggiungibile.
Appendice
WORK-MATCHED : il protocollo n. 2 consisteva nell’utilizzare come riferimento la quantità di lavoro svolta nel primo protocollo, per calcolare quante ripetizioni effettuare nel secondo. Assumendo che per il primo si è stabilito di lavorare con carichi al 90% di 1 RM, e per il secondo al 30% di 1 RM, e assumendo che 1 RM sia pari a 100 kg, un esempio pratico per il calcolo può essere il seguente: supponiamo di aver effettuato nel primo protocollo 4 ripetizioni con 90 kg ( 90% di 1 RM); la quantità di lavoro da considerare è pari a 90×4 = 360 unità di lavoro. Partendo dal presupposto di voler lavorare al 30% nel secondo protocollo, il conteggio da fare per ottenere le ripetizioni sarà 360/30 = 12. Quindi nel secondo si lavorerà con 30 kg per 12 ripetizioni
Riferimenti bibliografici

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