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La boxe è uno sport tuttaltro che recente, le cui origini si perdono nella storia, passando per l’antico Egitto e per i giochi olimpici della Grecia. Ai giorni nostri sono molto diffusi sia il pugilato che il più recente kick boxing, per motivi dovuti alle caratteristiche di queste discipline, che sviluppano allo stesso tempo forza, velocità e potenza insieme a equilibrio e resistenza. Durante gli allenamenti si lavora molto in modo aerobico, e questo è un altro punto a favore di queste specialità, in quanto favoriscono la perdita di massa grassa.
Eppure si è parlato molto in tempi più o meno recenti della pericolosità che rappresenta la pratica della boxe per la possibilità dell’insorgere di traumi cerebrali a lungo termine. Non si può negare che ci siano stati casi di pugili professionisti che a distanza di anni sono incorsi in problemi di tipo neurologico, e soprattutto sulla base di questo, la British Medical Association (BMA) nel 1983 aveva messo al bando il pugilato sia professionistico che amatoriale. Nel 1993, con un documento chiamato Boxing Debates (1), la stessa associazione ha rincarato la dose, ribadendo i rischi insiti nella pratica della boxe per la possibilità di causare traumi acuti e cronici al cervello, mentre quest’anno, continuando la campagna iniziata nei primi anni 80, ha aggiunto l’invito a bandire anche le gare di arti marziali.
Dalla stessa parte del mondo arrivano però voci che non concordano totalmente con la posizione della BMA: uno studio pubblicato sul British Medical Journal non nega l’esistenza dei rischi, specificando però che non sono così gravi quando la boxe è praticata a livello amatoriale. Gli autori di questo studio hanno effettuato una revisione sistematica di un cospicuo numero di lavori fatti negli ultimi 60 anni, per determinare quanto la boxe dilettantistica possa essere causa di lesioni cerebrali croniche (2).
Le conclusioni di questo studio smentiscono l’esistenza di una forte correlazione tra il pugilato praticato da dilettante e l’insorgere di problemi neurologici. Le sollecitazioni dovute ai colpi subiti alla testa, risultano essere uguali se non inferiori a quelle subite durante una partita di rugby, o nel corso di attività equestri, delle quali si potrebbe non sospettare la pericolosità. A questo proposito posso citare un lavoro del 1995 di Williams della Monash University di Melbourne, dal quale si evince che le attività equestri hanno uno dei più alti rischi di eventi traumatici gravi tra tutti gli sport, compresi il motociclismo e l’automobilismo (3).
Gli autori sottolineano che il pugile dilettante si diversifica molto dal professionista e che il match e la carriera di un dilettante hanno una durata inferiore, con combattimenti che avvengono, tra le altre cose, in modo più protetto. In questo modo viene meno il rischio correlato all’effetto cumulativo dei traumi.
Nell’antica Roma, Cesare Augusto proibì la pratica del pugilato in seguito alle molte ferite subite dai legionari. Da quei tempi molte cose sono cambiate, e la boxe non è più un tirare colpi a mani nude, ma ha assunto il carattere di una disciplina che ha istituito dei regolamenti e delle condizioni in linea con obiettivi di sicurezza per il praticante. L’attrezzatura adatta allo scopo, come guantoni, fasce, paradenti e casco, nonché l’indispensabile guida di un allenatore qualificato, sono i presupposti per vedere la boxe come uno sport privo di rischi, con la consapevolezza che quando si sale su un ring non si sta andando al bar per una partita a carte.
Bibliografia
- The Boxing Debate. British Medical Association. June 1993
- Loosemore M., Knowles C. H., Whyte G. P. – “Amateur boxing and risk of chronic traumatic brain injury: systematic review of observational studies” October 2007 – BMJ, doi:10.1136/bmj.39342.690220.55
- Williams F. et al: “ Horse-related injuries”, Hazard,1995 June, n 23, Victorian Injury Surveillance System. Monash University Accident Research Center.
BOXE PIOVESE
Maestro Gino Freo